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Neurologo Calabresi: “Dalla prigione del Parkinson si esce insieme”

Redazione Universonotizie.it Da Redazione Universonotizie.it
25 Marzo 2025
in Salute
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Neurologo Calabresi: “Dalla prigione del Parkinson si esce insieme”
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(Adnkronos) – “Usando una metafora, la malattia di Parkinson è come una prigione di cui dobbiamo trovare le chiavi per uscire. E il compito del neurologo è proprio di aiutare il paziente collaborando insieme con tante altre figure. Siamo chiamati a dare speranza a chi abbiamo di fronte, perché riusciamo quasi sempre ad uscire da questa prigione e le chiavi le troviamo insieme lungo la strada”. Così Paolo Calabresi, professore ordinario di Neurologia, Università Cattolica e direttore della Uoc Neurologia al Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs, interviene sul documentario ‘Dialoghi con Mr. Parkinson’ promosso dalla Confederazione Parkinson Italia con il supporto non condizionante di Zambon, in occasione della Giornata mondiale dell’11 aprile.  “Il Parkinson ha tante facce proprio perché è una patologia multiforme – spiega Calabresi – La maggioranza dei pazienti arriva da noi perché avverte una rigidità agli arti. Spesso, prima, si recano dall'ortopedico. Quando infine, dopo già un lungo percorso, arrivano dal neurologo hanno, oltre alla rigidità, la lentezza dei movimenti, i problemi di equilibrio, la difficoltà della scrittura, il dolore, ci sono veramente situazioni che prescindono dai disturbi motori e dai disturbi sensitivi. Quando poniamo la diagnosi” assistiamo a “una situazione di ansia, depressione, qualche volta disperazione perché non vedono in modo chiaro una via di uscita. Allora è fondamentale parlare, spiegare, fornire speranza al paziente, soprattutto attraverso una terapia farmacologica adeguata, con i farmaci che siano adatti nella fase iniziale, ma soprattutto convincendo il paziente a modificare un pochino il proprio stile di vita e a coinvolgere in questa modifica anche i familiari: allora si apre una luce di speranza e il rapporto, il dialogo diventa più proficuo e il paziente assume immediatamente, anche sperimentando un miglioramento della propria sintomatologia, una riduzione di quei sintomi che erano stati un aspetto positivo”.  Come clinici “dobbiamo cercare stimolare un rapporto che non sia solo una visita medica, ma sia un colloquio che guidi il paziente non solo attraverso le terapie, ma attraverso gli stili di vita. È una prigione – rimarca Calabresi – e a creare la prigione è innanzitutto uno stigma. Il paziente, da una condizione di normalità, di situazione fisiologica, si trova ad avere il peso di una diagnosi che cose brutte per il futuro, che evoca disabilità. La chiave di uscita è una chiave individuale. Dobbiamo essere in grado di trovarla insieme ad ogni paziente, dove oltre agli aspetti farmacologici, dobbiamo considerare alcuni aspetti fondamentali. La socialità è un elemento importante. Mantenere rapporti con la famiglia, con il lavoro, con gli amici permette una percezione meno pessimistica del futuro, perché il paziente grazie ad un approccio non solo farmacologico ma olistico è in grado di vedere un futuro più positivo rispetto a quello che ha visto al momento della diagnosi. Quindi ottimismo nella terapia e ottimismo nella prospettiva”, conclude. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Tags: adnkronossalute
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